TLC – TV e Media – Internet – Servizi IT – Nuove Tecnologie – Reti e Infrastrutture


IN QUESTO NUMERO:

1. MEDIA – TLC: la Corte di Giustizia dichiara in contrasto con la normativa UE i limiti stabiliti dal TUSMAR in merito ai legami societari tra società dei settori TLC e media (sentenza Corte di Giustizia 3 settembre 2020, causa C-719/18 – Vivendi)

2. GOLDEN POWER: il Tar Lazio annulla due provvedimenti in materia di c.d. Golden power per vizi istruttori in relazione alla verifica della natura strategica degli asset (sentenza Tar Lazio 24 luglio 2020, n. 8742)

3. PROCEDIMENTI AGCOM – REGOLE DI PROCEDURA: il Consiglio di Stato e il Tar Lazio annullano due provvedimenti sanzionatori dell’Agcom per illegittima proroga del termine di conclusione del procedimento (sentenza Cons. Stato 25 maggio 2020, n. 3307 e sentenza Tar Lazio 1° luglio 2020, n. 7430)

4. CONTRATTI CON I CONSUMATORI – RISARCIMENTO DEL DANNO: la Corte di Cassazione esclude la risarcibilità del danno non patrimoniale in relazione al mancato funzionamento della linea telefonica, ritenendo il servizio telefonico non ricollegabile ad un diritto fondamentale (ordinanza Corte Cass. 27 agosto 2020, n. 17894)

5. IMPIANTI TRASMISSIVI – INFRASTRUTTURE: il Consiglio di Stato circoscrive i limiti relativi all’impugnazione da parte di privati cittadini delle autorizzazioni all’installazione di impianti trasmissivi (sentenza Cons. Stato 13 agosto 2020, n. 5034)

6. MEDIA – TUTELA DEI MINORI: il Consiglio di Stato fornisce alcuni chiarimenti in materia di obblighi posti a tutela dei minori nelle trasmissioni televisive (sentenze Consiglio di Stato 13 luglio 2020, n. 4531 e 27 agosto 2020, n. 5249)

7. TLC – FREQUENZE: l’AGCM ha adottato due segnalazioni relative agli ostacoli allo sviluppo di reti a banda ultralarga e all’installazione di impianti trasmissivi 5G (segnalazioni AGCM AS1683 del 7 luglio 2020 e AS1691 del 6 agosto 2020)

8. PROCEDIMENTI AGCOM – IMPUTABILITÀ: il Tar Lazio annulla una delibera sanzionatoria di Agcom poiché la violazione riscontrata è stata ritenuta non imputabile all’operatore (sentenza Tar Lazio 7 agosto 2020, n. 9097)

9. CONTRATTI CON I CONSUMATORI – CLAUSOLE VESSATORIE: secondo la Corte di Giustizia non è qualificabile come “abusiva” la clausola contrattuale non negoziata tra le parti che riproduce una disposizione prevista da una legge nazionale (sentenza Corte Giustizia 9 luglio 2020, causa C-81/19 – Banca Transilvania)

10. TLC – FREQUENZE: l’Agcom approva la proroga fino al 2029 della durata delle frequenze 900 e 2100 MHz detenute dagli operatori di rete mobile TIM, Vodafone, WindTre e Iliad (Delibera Agcom 338/20/CONS)

1.         MEDIA – TLC

La Corte di Giustizia dichiara in contrasto con la normativa UE i limiti stabiliti dal TUSMAR in merito ai legami societari tra società dei settori TLC e media (sentenza Corte di Giustizia 3 settembre 2020, causa C-719/18 – Vivendi)

Pronunciandosi su un rinvio pregiudiziale disposto dal Tar Lazio particolarmente atteso, la sentenza della Corte di Giustizia 3 settembre 2020, causa C-179/18 – Vivendi ha dichiarato l’incompatibilità con l’ordinamento comunitario, sotto molteplici profili, dell’art. 43, comma 11, D.Lgs. 177/2005 (TUSMAR), che vieta a qualsiasi società con ricavi superiori al 40% del settore TLC di conseguire, anche attraverso società controllate o collegate, ricavi superiori al 10% del “sistema integrato delle comunicazioni” (SIC).

Come noto, la vicenda giunta in Corte di Giustizia riguarda la situazione in cui la società francese Vivendi, nel 2016, dopo aver acquisito una quota di controllo in TIM del 24% circa, era salita nel capitale sociale di Mediaset fino a detenere il 29% dei diritti di voto. L’Agcom, con Delibera 178/17/CONS, aveva accertato la violazione da parte di Vivendi dell’art. 43, comma 11, TUSMAR in ragione della contestuale influenza notevole esercitata, ai sensi dell’art. 2359, comma 3, cod. civ., tanto su TIM, quanto su Mediaset. A seguito dell’ordine di Agcom di porre fine a tale violazione, Vivendi ha quindi trasferito a una società terza il 19,19% delle azioni di Mediaset.

Nell’ambito dell’impugnazione della Delibera 178/17/CONS, il Tar Lazio ha sottoposto alla Corte di Giustizia i propri dubbi sulla compatibilità dell’art. 43, comma 11, TUSMAR con il diritto UE.

L’analisi della Corte è stata condotta su un duplice piano. In primo luogo, richiamando la giurisprudenza in materia di libertà di stabilimento (secondo cui l’art. 49 TFUE vieta anche l’applicazione di norme nazionali che possano ostacolare o dissuadere un’impresa UE dal creare entità subordinate in uno Stato Membro; sentenza 10 maggio 2012, causa C‑357/10 – Duomo Gpa), viene riconosciuto che l’art. 43, comma 11, TUSMAR determina una restrizione alla libertà di stabilimento in ragione dei limiti all’acquisizione di partecipazioni da essa previsti che, nel caso di specie, hanno determinato un ostacolo alla libertà di Vivendi di stabilirsi in Italia, impedendole di influire maggiormente sulla gestione di Mediaset.

In secondo luogo, la Corte ha verificato se una tale restrizione alla libertà di stabilimento potesse essere giustificata da motivi di interesse generale, garantendo lo scopo perseguito senza eccedere quanto necessario per raggiungerlo (sentenza 25 ottobre 2017, causa C‑106/16 – Polbud–Wykonawstwo). A tale riguardo, la Corte riconosce che i vincoli stabiliti dall’art. 43, comma 11, TUSMAR non siano idonei e proporzionati ai fini della tutela del pluralismo dell’informazione e dei media, quanto meno sotto i seguenti profili:

  • il quadro normativo UE già pone una chiara distinzione tra la produzione dei contenuti (che implica un controllo editoriale) e la trasmissione dei contenuti (che esclude qualsiasi controllo editoriale), mentre l’art. 43, comma 11, TUSMAR non fa alcun riferimento a tale distinzione;
  • per quanto riguarda la verifica sul rispetto delle soglie indicate nell’art. 43, comma 11, TUSMAR, la Delibera Agcom 178/17/CONS ha definito in maniera troppo restrittiva il settore TLC, ricomprendendovi solamente i mercati oggetto di regolamentazione ex ante e non anche ulteriori mercati di importanza crescente per la trasmissione di informazioni (e, quindi, maggiormente collegati al pluralismo);
  • la soglia del 10% dei ricavi complessivi del SIC non è di per sé indicativa di un rischio di influenza sul pluralismo, dal momento che il SIC comprende mercati diversi e, quindi, i ricavi di un’impresa possono essere concentrati in uno di questi mercati o ripartiti su diversi mercati;
  • l’equiparazione operata dall’art. 43 TUSMAR tra la situazione di una controllata e quella di una società collegata non appare conciliabile con l’obiettivo perseguito dallo stesso art. 43, dal momento che una relazione di mero collegamento (e non di controllo) non consente di per sé di dimostrare la possibilità di esercitare su una società un’influenza tale da pregiudicare il pluralismo dei media e dell’informazione.

In definitiva, la pronuncia della Corte non solo si è espressa in maniera particolarmente netta sull’esistenza di un’incompatibilità tra l’art. 43, comma 11, TUSMAR e l’ordinamento UE ma, più in generale, ha messo in luce diversi profili di incoerenza tra i meccanismi di fondo della disciplina a tutela del pluralismo di cui all’art. 43 TUSMAR (basati essenzialmente su soglie massime di ricavi nel SIC) e il quadro normativo UE. Dunque, oltre alla definizione del giudizio di impugnazione della Delibera 178/17/CONS a cui è chiamato il Tar Lazio, appare opportuno che anche Agcom e il legislatore, secondo le rispettive competenze, procedano a valutare una revisione più ampia dell’impianto di cui all’art. 43 TUSMAR.

2.         GOLDEN POWER

Il Tar Lazio annulla due provvedimenti in materia di c.d. Golden power per vizi istruttori in relazione alla verifica della natura strategica degli asset (sentenza Tar Lazio 24 luglio 2020, n. 8742)

La sentenza Tar Lazio 24 luglio 2020, n. 8742 rappresenta la prima pronuncia di merito del giudice amministrativo sull’esercizio dei poteri speciali nei settori strategici (c.d. Golden power) ai sensi del D.L. n. 21/2012. In particolare, il Tar Lazio, in accoglimento dei ricorsi di Retelit, ha annullato i provvedimenti con cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva (i) esercitato i poteri speciali imponendo a Retelit alcune prescrizioni nell’ambito della modifica del cambio di controllo sulla società (D.P.C.M. del 7 giugno 2018), e (ii) irrogato una sanzione pari a Euro 140.137 alla stessa Retelit per la ritardata comunicazione della variazione della governance che aveva condotto al suddetto cambio di controllo (D.P.C.M. del 30 novembre 2018).

Pur a fronte di molteplici censure sollevate dalla ricorrente Retelit e, più in generale, di svariate questioni applicative che la normativa in materia di Golden power ha sollevato fin dalla sua entrata in vigore, la sentenza n. 8742/2020 ha accertato l’illegittimità degli atti impugnati per una ragione molto specifica e peculiare. Secondo il Tar Lazio, infatti, il parere dell’Agcom che aveva riconosciuto la natura strategica degli asset detenuti da Retelit era stato rilasciato da un soggetto (il Segretario Generale) privo della competenza ad adottarlo. Conseguentemente, l’intera istruttoria svolta dalla Presidenza del Consiglio è stata considerata viziata in relazione alla verifica della sussistenza del presupposto oggettivo per l’esercizio dei poteri speciali, ossia l’accertamento della natura strategica degli asset di Retelit.

Quale ulteriore statuizione della sentenza in esame, il Tar Lazio ha inoltre sottolineato che la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dei poteri speciali deve essere svolta in maniera rigorosa, “ciò in quanto l’esercizio di tali poteri, ponendo delle limitazioni ai principi comunitari della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali, deve trovare la sua giustificazione nel perseguimento del fine legislativo di consentire l’intervento statale qualora l’operazione societaria possa compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale, avuto riguardo all’incidenza su beni considerati di rilevanza strategica. […] non è pertanto consentita una estensione in via provvedimentale, caso per caso, del novero delle attività strategiche, all’infuori di quelle indicate, nei relativi settori, dalla disciplina regolamentare”.

3.         PROCEDIMENTI AGCOM – REGOLE DI PROCEDURA

Il Consiglio di Stato e il Tar Lazio annullano due provvedimenti sanzionatori dell’Agcom per illegittima proroga del termine di conclusione del procedimento (sentenza Cons. Stato 25 maggio 2020, n. 3307 e sentenza Tar Lazio 1° luglio 2020, n. 7430)

Con due distinte pronunce pubblicate a breve distanza, il Consiglio di Stato e il Tar Lazio hanno annullato due delibere sanzionatorie dell’Agcom a causa dell’illegittimità della proroga del termine di chiusura del procedimento. Da queste sentenze deriva una rinnovata attenzione alla regolarità dei procedimenti delle Autorità indipendenti, tanto più necessaria in ragione della natura afflittiva dei relativi provvedimenti.

Con sentenza 25 maggio 2020, n. 3307, il Consiglio di Stato, in accoglimento dell’appello di Fastweb, ha annullato la Delibera Agcom 600/14/CONS che aveva sanzionato tale operatore per alcune presunte violazioni regolamentari in materia di migrazione e portabilità su rete fissa.

In primo luogo, il Consiglio di Stato ha ribadito che i termini di conclusione dei procedimenti sanzionatori hanno natura perentoria per due ordini di ragioni: (i) andando ad incidere con modalità afflittiva sulla sfera giuridica del destinatario, occorre contemplare un periodo temporale certo di definizione del procedimento; (ii) è la stessa Autorità indipendente ad essersi vincolata al rispetto dei termini contenuti nei propri regolamenti procedurali.

Nel caso di specie, il termine del procedimento sanzionatorio era stato prorogato in applicazione dell’art. 6 del regolamento di procedura di cui alla Delibera 136/06/CONS, secondo cui “i termini sono sospesi nel caso in cui sia necessario svolgere ulteriori approfondimenti istruttori” (si precisa che analoga disposizione è prevista anche dall’art. 6 del vigente regolamento di procedura di cui alla Delibera Agcom 581/15/CONS).

Il Consiglio di Stato, anche a seguito di alcune richieste istruttorie in corso di giudizio, ha accertato che, dopo la proroga del termine, nessun approfondimento istruttorio era stato svolto dagli Uffici. Da qui l’assenza dei presupposti per la suddetta proroga e, conseguentemente, l’illegittimità della delibera impugnata.

Interessante notare che, secondo il Giudice, la determinazione interna, che pur indicava genericamente la necessità di svolgere approfondimenti istruttori, non era di per sé idonea a giustificare tale proroga, in quanto costituiva “una mera affermazione della necessità di ulteriori accertamenti istruttori che, in quanto tale, non può ritenersi idonea a protrarre il termine di conclusione del procedimento”.

Su una questione molto simile si è pronunciata la sentenza Tar Lazio 1° luglio 2020, n. 7430, che ha annullato la Delibera Agcom 244/10/CSP, la quale aveva sanzionato la società Boing S.p.A. in relazione alla violazione di alcuni obblighi sulla diffusione di spot televisivi destinati a minori. Anche in questo caso il procedimento era stato prorogato ai fini dello svolgimento di attività istruttorie. Il Giudice, tuttavia, ha accertato l’illegittimità della delibera sotto il profilo delle modalità con cui erano stati richiesti approfondimenti istruttori indeterminati, in violazione dell’art. 10, comma 3, del regolamento di cui alla Delibera 136/06/CONS (“Qualora ritenga necessari ulteriori approfondimenti istruttori, l’organo collegiale trasmette gli atti all’unità organizzativa specificando la natura ed il tipo di approfondimenti da svolgere”), attualmente confluito nell’art. 10, comma 1, del regolamento di cui alla Delibera 581/15/CONS. Il Tar Lazio, infatti, ha ritenuto violata tale disposizione in quanto, dai documenti del procedimento, non si evinceva alcuna indicazione in ordine alle esigenze sottese alla sollecitazione degli ulteriori adempimenti istruttori.

4.         CONTRATTI CON I CONSUMATORI – RISARCIMENTO DEL DANNO

La Corte di Cassazione esclude la risarcibilità del danno non patrimoniale in relazione al mancato funzionamento della linea telefonica, ritenendo il servizio telefonico non ricollegabile ad un diritto fondamentale (ordinanza Corte Cass. 27 agosto 2020, n. 17894)

Con ordinanza 27 agosto 2020, n. 17984, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla risarcibilità dei danni non patrimoniali derivanti dal mancato funzionamento di una linea telefonica, negando i presupposti per riconoscere ad un utente tale tipologia di danno.

La questione oggetto del giudizio riguardava il mancato ripristino per circa 9 mesi di un’utenza telefonica fissa a seguito di una migrazione ad altro operatore inizialmente richiesta e poi oggetto di recesso. Il giudice di appello (Tribunale di Benevento) aveva già negato la risarcibilità del danno non patrimoniale (ribaltando la precedente pronuncia del Giudice di Pace), ritenendo insussistenti i presupposti di cui all’art. 2059 cod. civ..

Investita della questione, la Corte ha ricordato come la risarcibilità del danno non patrimoniale è ammessa solo nel caso in cui essa sia espressamente prevista o comunque ammessa dalla legge, circostanza che si verifica allorché il fatto illecito leda un diritto fondamentale della persona. Secondo il Supremo Collegio, affinché si possa parlare di “diritto fondamentale della persona” è necessario che tale diritto (i) riguardi la persona e non il suo patrimonio, e (ii) sia “fondamentale”, ossia il suo esercizio non possa essere precluso senza limitare la dignità o libertà dell’essere umano.

Tali circostanze, secondo la Corte, non ricorrevano nel caso di specie in quanto “l’impedimento all’uso del telefono non menoma né la dignità, né la libertà dell’essere umano, né costituisce violazione di alcuna libertà costituzionalmente garantita e, tanto meno, di quella di comunicare, posto che nulla avrebbe impedito all’utente di servirsi di altri mezzi (es. un telefono sostitutivo), addossando alla controparte inadempiente il relativo costo”.

Si tratta, dunque, di una pronuncia che, escludendo la risarcibilità del danno non patrimoniale (questione ovviamente distinta rispetto al risarcimento dei danni patrimoniali eventualmente subiti dall’utente in conseguenza del malfunzionamento della linea), si fonda su una posizione particolarmente restrittiva e rigorosa nel negare che la disponibilità del servizio telefonico sia ricollegabile ad alcun diritto fondamentale della persona costituzionalmente riconosciuto, incluso quello alla comunicazione. In particolare, l’ordinanza della Corte, basandosi su un ragionamento molto sintetico, sembra quasi escludere a priori l’esistenza di un collegamento tra la possibilità di disporre di una linea telefonica e la libertà di comunicazione garantita dall’art. 15 Cost. A tale riguardo va considerato che, attraverso la linea fissa, è possibile fruire anche del servizio Internet (sebbene non sia chiaro se nel caso di specie l’utente ne fruisse) e non vi è bisogno di ricordare quanto sia essenziale la possibilità di avere a disposizione una connessione dati, soprattutto nell’attuale periodo di emergenza sanitaria Covid-19. Peraltro, dalla sentenza emerge che la zona in cui abita l’utente non era coperta da altri servizi di telecomunicazione, circostanza questa che, a maggior ragione, avrebbe dovuto indicare la natura essenziale della disponibilità di una linea telefonica funzionante per un cittadino.

5.         IMPIANTI TRASMISSIVI – INFRASTRUTTURE

Il Consiglio di Stato circoscrive i limiti relativi all’impugnazione da parte di privati cittadini delle autorizzazioni all’installazione di impianti trasmissivi (sentenza Cons. Stato 13 agosto 2020, n. 5034)

La sentenza Cons. Stato 13 agosto 2020, n. 5034 ha stabilito alcune importanti statuizioni relative alla legittimazione di persone fisiche a contestare i provvedimenti di autorizzazione all’installazione di impianti trasmissivi per la telefonia mobile in relazione a presunti danni alla salute.

In particolare, in accoglimento degli appelli di alcuni operatori di telefonia mobile, il Consiglio di Stato ha ribaltato la sentenza Tar Lazio n. 6136/2018 che, su ricorso di alcuni privati cittadini (genitori di alunni di una scuola nelle vicinanze di una stazione radio base), aveva annullato i provvedimenti autorizzativi per l’installazione di alcuni impianti trasmissivi a causa del mancato rispetto del limite distanziale di 100 metri previsto dalla normativa di Roma Capitale applicabile ratione temporis.

Secondo il Consiglio di Stato, il ricorso di primo grado era inammissibile per difetto di legittimazione ad agire da parte dei ricorrenti, in quanto meri utenti dell’edificio “sensibile” ubicato nelle vicinanze degli impianti: “non può condividersi l’assunto per cui la semplice qualità di utente della struttura qualificata come sito sensibile dall’invocata disciplina regolamentare […] sia, di per sé, idonea a radicare una situazione qualificata e differenziata rispetto al quisque de populo, legittimante l’impugnazione giudiziale dei titoli autorizzatori”.

A ulteriore chiarimento, la sentenza in esame sottolinea che “in situazioni siffatte, la posizione legittimante è, semmai, individuabile in capo all’ente proprietario e/o gestore della struttura qualificata come sito sensibile, il quale agisce tramite gli organi titolari del potere di rappresentanza esterna (eventualmente, con il coinvolgimento e la partecipazione interna degli utenti, secondo le procedure che di volta in volta possano venire in rilievo), oppure, in alternativa, in capo a soggetti ‘entificati’ (quali comitati, associazioni, ecc.) individuabili, in presenza degli elementi all’uopo richiesti, quali titolari di correlativi interessi collettivi”.

Ulteriore importante aspetto su cui si è pronunciato il Consiglio di Stato ha riguardato la mancata allegazione di un pregiudizio concreto e oggettivo alla salute derivante dall’installazione dell’impianto, in un contesto nel quale l’ARPA aveva verificato il rispetto dei valori di soglia di cui al D.P.C.M. 8 luglio 2003. Sul punto, la sentenza ha evidenziato che “non può, pertanto, ritenersi sufficiente a radicare la legittimazione e l’interesse ad agire in capo agli originari ricorrenti la mera circostanza della prossimità dell’opera infrastrutturale al sito in questione, dovendo essere per contro fornita la prova concreta (o quantomeno un principio di prova) del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla sfera giuridica degli stessi ricorrenti, nella specie mancante”.

Infine, il ricorso di primo grado è stato dichiarato tardivo anche perché presentato oltre 60 giorni dal momento in cui, tramite la diffusione di una petizione pubblica, era emerso che i soggetti ricorrenti avevano contezza dell’installazione degli impianti.

6.         MEDIA – TUTELA DEI MINORI

Il Consiglio di Stato fornisce alcuni chiarimenti in materia di obblighi posti a tutela dei minori nelle trasmissioni televisive (sentenze Consiglio di Stato 13 luglio 2020, n. 4531 e 27 agosto 2020, n. 5249)

Con due distinte pronunce il Consiglio di Stato ha fornito importanti indicazioni su alcune questioni relative alla tutela dei minori nelle trasmissioni televisive: da una parte, le modalità di diffusione degli spot pubblicitari adiacenti a trasmissioni dedicate ai minori e, dall’altra, la trasmissione di programmi ritenuti violenti nella fascia oraria in prima serata.

Sentenza Consiglio di Stato n. 4531/2020

La sentenza Cons. Stato 13 luglio 2020, n. 4531, in accoglimento dell’appello di Agcom, ha riformato la sentenza Tar Lazio n. 3007/2018 e respinto il ricorso di primo grado della Rai contro la Delibera Agcom 287/04/CSP, che aveva diffidato la stessa Rai a cessare la trasmissione di messaggi pubblicitari in adiacenza a un cartone animato, il quale non avrebbe reso distinguibile la pubblicità dal resto della programmazione, con conseguente violazione dell’art. 3 della Delibera Agcom 538/01/CONS.

In primo grado, il Tar Lazio aveva ritenuto che la trasmissione tra il cartone animato e lo spot pubblicitario di un messaggio di promozione di un altro programma televisivo rendesse riconoscibile la natura pubblicitaria dello spot anche per un pubblico di minori.

Al contrario, il Consiglio di Stato ha sottolineato la necessità di una lettura rigorosa delle norme a tutela dei minori in materia di pubblicità televisiva, in particolare dell’art. 36-bis, lett. g), TUSMAR (secondo il quale le comunicazioni commerciali audiovisive non arrecano pregiudizio fisico o morale ai minori e non esortano i minori ad acquistare prodotti sfruttando la loro inesperienza o li incoraggino a persuadere i loro genitori o altri ad acquistare i beni o servizi pubblicizzati) e dell’art. 3 Delibera 538/01/CONS (il quale prevede che, nella pubblicità diffusa prima o dopo i cartoni animati, non possano comparire personaggi dei medesimi cartoni), anche alla luce di quanto disposto dal Codice di autoregolamentazione TV e minori del 29 novembre 2002.

Dunque, secondo il Consiglio di Stato, sono da ritenersi in violazione delle disposizioni sopra richiamate gli spot pubblicitari adiacenti alla trasmissione (anche se inframezzati da altri annunci) che sollecitano all’acquisto di prodotti sfruttando la confusione che si può determinare tra il programma e il messaggio pubblicitario.

Sentenza Consiglio di Stato n. 5249/2020

La sentenza Cons. Stato 27 agosto 2020, n. 5249 ha invece respinto l’appello di Agcom e del Comitato per l’applicazione del Codice di autoregolamentazione media e minori e confermato la sentenza Tar Lazio n. 3006/2018 che aveva annullato la Delibera 81/04/CSP, con cui l’Agcom aveva sanzionato la Rai per aver trasmesso un film in prima serata non adatto ai minori.

In primo luogo, il Consiglio di Stato ricorda come l’art. 15, comma 10, Legge n. 233/1990 (poi abrogato e confluito nell’art. 34 TUSMAR), nel vietare la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, costituisce una fattispecie di pericolo concreto, per la cui integrazione è richiesto l’accertamento dell’effettiva esposizione a pericolo del bene tutelato dalla norma, il che impone il bilanciamento tra (i) l’esigenza di tutela del minore e (ii) la garanzia della libertà di espressione.

Premesso che la trasmissione del film era avvenuta nella fascia oraria 21.00 – 23.00 e che la Rai aveva adottato accorgimenti atti a sconsigliare la visione dello stesso ai minori (sia sotto forma di previo annuncio che di apposita iconografia), il Consiglio di Stato ha ritenuto illegittimo il provvedimento sanzionatorio dell’Agcom in quanto non evidenziava in maniera adeguata le ragioni per le quali il programma trasmesso sarebbe nocivo per lo sviluppo psichico o morale dei minori. In particolare, secondo la sentenza in commento, “il generico riferimento a scene recanti “rappresentazioni di violenze fisiche e psicologiche perpetrate nei confronti di protagoniste prevalentemente adolescenti”, senza analitica indicazione delle scene che sono idonee a ledere il bene protetto, non risulta sufficiente a spiegare come ciò metta a repentaglio il benessere psichico dei minori”.

Infine, quale aspetto strettamente processuale, il Consiglio di Stato ha respinto l’eccezione di carenza di legittimazione passiva del Comitato per l’applicazione del Codice di autoregolamentazione (in quanto soggetto notificato in primo grado), poiché tale Comitato è indicato come “un organo ministeriale che definisce una fase di rilievo della procedura sanzionatoria, concepita dal legislatore quale procedimento amministrativo sub-fasico a formazione progressiva nel quale ciascun organo assume la competenza e la responsabilità delle decisioni assunte in ogni singola sub-fase che compone la procedura sanzionatoria”.

7.         TLC – FREQUENZE

L’AGCM ha adottato due segnalazioni relative agli ostacoli allo sviluppo di reti a banda ultralarga e all’installazione di impianti trasmissivi 5G (segnalazioni AGCM AS1683 del 7 luglio 2020 e AS1691 del 6 agosto 2020)

L’AGCM, con due distinte segnalazioni, è tornata a sottolineare l’urgenza di rimuovere i molteplici ostacoli – esistenti a livello normativo e nelle prassi delle autorità competenti – relativi alla realizzazione di infrastrutture per reti fisse e mobili a banda ultralarga (segnalazione AS1683 del 7 luglio 2020) e di impianti trasmissivi in tecnologia 5G (segnalazione AS1691 del 6 agosto 2020).

Per quanto riguarda la segnalazione AS1683 del 7 luglio 2020, l’AGCM ha evidenziato una serie di criticità e possibili soluzioni per incentivare la realizzazione delle reti ultra-broadband e mantenere un level playing field tra operatori a beneficio di una concorrenza sugli investimenti e sui servizi.

In merito alle procedure di installazione delle reti, l’AGCM ha auspicato misure che semplifichino e rendano più efficienti e celeri gli iter di autorizzazione delle opere civili (ad es. scavi e posa delle infrastrutture) da parte delle amministrazioni competenti, anche mediante la previsione di termini ridotti per i procedimenti di cui all’art. 88 D.lgs. 259/2003 e di moduli obbligatori comuni per tutti gli enti locali.

L’AGCM, inoltre, ha riconosciuto l’efficacia delle politiche di sostegno della domanda, sotto forma di voucher, sovvenzioni e benefici fiscali per le famiglie e imprese che vogliano dotarsi di una connettività a banda ultralarga. A tale riguardo, l’AGCM ha evidenziato che tali interventi non dovrebbero essere estesi alle connessioni con velocità inferiore a 100 Mbit/s, poiché ciò avvantaggerebbe operatori che effettuano minori investimenti infrastrutturali, rallentando così il processo di ammodernamento delle reti.

Infine, l’AGCM ha sottolineato l’importanza di un intervento normativo finalizzato ad eliminare gli effetti di lock-in contrattuale che rendono particolarmente onerosa la migrazione dei clienti per periodi lunghi (anche superiori a 30-48 mesi), “paralizzando” i clienti medesimi con tecnologie meno recenti. Secondo l’AGCM, l’eliminazione del lock-in contrattuale, favorendo una concorrenza virtuosa per la fornitura di servizi sempre più performanti, costituirebbe uno strumento di sostegno agli investimenti legato alla domanda di connettività, senza alcun onere pubblico.

Per quanto riguarda la segnalazione AS1691 del 6 agosto 2020, l’AGCM ha sottolineato gli ostacoli concorrenziali e allo sviluppo tecnologico derivanti dai provvedimenti comunali che stabiliscono un divieto generalizzato alla sperimentazione, installazione ed esercizio di impianti 5G, determinando un impedimento assoluto all’installazione di tali impianti e rendendo perciò impossibile la copertura mobile in tecnologia 5G. Secondo l’AGCM, tali provvedimenti, oltre a porsi in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria di settore, rappresentano una barriera al libero dispiegarsi della concorrenza, incrementando i costi amministrativi sostenuti dalle imprese e determinando una discriminazione tra operatori incumbent e nuovi operatori nativi 5G, producendo così ricadute negative per i servizi erogati agli utenti e per la competitività dell’Italia.

L’AGCM, inoltre, ha ricordato come la costante giurisprudenza amministrativa abbia sancito l’illegittimità dell’uso dell’ordinanza contingibile e urgente per la sospensione dell’attività di installazione ed esercizio di infrastrutture di telecomunicazione, all’installazione di infrastrutture e/o di antenne di telefonia mobile, in assenza del preventivo accertamento di una situazione di pericolo effettivo, eccezionale ed imprevedibile (ex multis, sentenza Tar Lazio n. 3414/2012).

Infine, quale aspetto di particolare rilievo, l’AGCM ha ribadito (come già nella precedente segnalazione AS1551 del 21 dicembre 2018) che i provvedimenti comunali in questione non possono trovare giustificazione in generici rischi alla salute, in quanto la competenza sul rispetto dei limiti alle emissioni elettromagnetiche è già conferita alle ARPA, che effettuano verifiche basate sui limiti di cui al D.P.C.M. 8 luglio 2003 che sono di gran lunga inferiori rispetto a quelli raccomandati dall’UE (Raccomandazione 199/51)/CE).

8.         PROCEDIMENTI AGCOM – IMPUTABILITÀ

Il Tar Lazio annulla una delibera sanzionatoria di Agcom poiché la violazione riscontrata è stata ritenuta non imputabile all’operatore (sentenza Tar Lazio 7 agosto 2020, n. 9097)

La sentenza Tar Lazio 7 agosto 2020, n. 9097, in accoglimento del ricorso di Tiscali, ha annullato la Delibera Agcom 393/11/CONS che aveva sanzionato tale operatore per una presunta violazione degli obblighi in materia di migrazione su rete fissa.

Sebbene la delibera annullata sia risalente e relativa ad una questione specifica, la sentenza in esame è di particolare rilievo poiché pone l’accento sulla necessità di qualificare la condotta ritenuta illegittima in termini quanto meno colposi, dovendo tenere in considerazione le diverse circostanze rilevanti ai fini dell’imputabilità della condotta in capo all’operatore.

Nel caso di specie, l’Agcom aveva ritenuto che Tiscali avesse violato l’obbligo di cui all’art. 19, comma 3, Delibera 4/06/CONS di inviare “senza indugio” l’ordine di cessazione della linea all’operatore recipient, poiché tale inoltro era avvenuto 46 giorni dopo la ricezione della richiesta di disdetta da parte dell’utente.

Il Tar Lazio ha ritenuto fondate le giustificazioni di Tiscali secondo cui tale prolungata tempistica era stata causata dall’incompletezza della comunicazione di recesso da parte dell’utente, non corredata del documento d’identità, che aveva richiesto ulteriori verifiche sull’identità del richiedente. Per questa ragione, il mancato inoltro della richiesta di migrazione “senza indugio” è stata considerata non imputabile all’operatore.

Sul punto, il Tar Lazio ha sottolineato che “la comminazione di qualsiasi sanzione deve rispondere al rispetto del principio generale sancito nell’art. 3 della Legge 24 novembre 1981, n. 689 dell’imputabilità quantomeno a titolo di colpa, della violazione commessa”.


9.         CONTRATTI CON I CONSUMATORI – CLAUSOLE VESSATORIE

Secondo la Corte di Giustizia non è qualificabile come “abusiva” la clausola contrattuale non negoziata tra le parti che riproduce una disposizione prevista da una legge nazionale (sentenza Corte Giustizia 9 luglio 2020, causa C-81/19 – Banca Transilvania)

Con sentenza del 9 luglio 2020, causa C-81/19 – Banca Transilvania resa in via pregiudiziale, la Corte di Giustizia ha chiarito che la mancata negoziazione tra le parti di una clausola contrattuale che riproduce una disposizione di una legge nazionale non derogata tra le parti non può essere qualificata come “abusiva” ai sensi delle disposizioni che regolano i contratti con i consumatori.

La vicenda traeva origine dall’inserimento, all’interno di un contratto di credito al consumo, di una clausola che, conformemente a quanto previsto dal diritto nazionale, consentiva all’istituto bancario di convertire il tasso di cambio del contratto iniziale in valuta estera.

A fronte della conversione applicata dall’istituto bancario, il consumatore lamentava di non essere stato informato dei rischi derivanti dalla conversione stessa. Il giudice nazionale ha rimesso la questione alla Corte di Giustizia chiedendo di chiarire se le disposizioni della Direttiva 93/13/CE possano essere interpretate nel senso che una clausola contrattuale non oggetto di negoziazione individuale possa essere qualificata come “abusiva” nel caso in cui la stessa si limiti a riprodurre una disposizione di legge nazionale che si applica alle parti contraenti, salvo diverso accordo tra le stesse (c.d. norma “suppletiva”).

Investita della questione, la Corte ha ricordato come l’art. 1, comma 2, della Direttiva 93/13/CE prevede che le disposizioni di quest’ultima non trovano applicazione in caso di disposizioni legislative o regolamentari di natura imperativa.

Secondo la Corte a nulla rileva che, nel caso di specie, la disposizione del diritto nazionale avesse natura suppletiva; l’espressione “disposizioni legislative o regolamentari o imperative”, infatti, comprende, in virtù di quanto chiarito dal Considerando n. 13 della suddetta direttiva, anche disposizioni suppletive, con conseguente esclusione dell’abusività della clausola oggetto di contestazione.

10.       TLC – FREQUENZE

L’Agcom approva la proroga fino al 2029 della durata delle frequenze 900 e 2100 MHz detenute dagli operatori di rete mobile TIM, Vodafone, WindTre e Iliad (Delibera Agcom 338/20/CONS)

Con Delibera 383/20/CONS, l’Agcom ha fornito al Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), ai sensi dell’art. 25, comma 6, D.Lgs. 259/2003, il proprio assenso alla proroga, fino al 31 dicembre 2029, dei diritti d’uso delle seguenti frequenze:

  • diritti d’uso delle frequenze in banda 900 MHz detenute da Iliad, originariamente assegnate ad H3G nel 2010 e poi ceduti alla stessa Iliad nell’ambito degli impegni stabilita dalla Commissione Europea nel 2016 per l’autorizzazione antitrust alla fusione tra Wind e Tre;
  • diritti d’uso delle frequenze in banda 2100 MHz detenute da TIM, Vodafone e WindTre assegnate nel 2009.

Le richieste di proroga dei diritti d’uso erano state presentate dai suddetti operatori unitamente ai piani tecno-finanziari, che sono stati valutati positivamente da Agcom, anche in relazione all’uso effettivo ed efficiente dello spettro, nonché alla progressiva adozione di sistemi di trasmissione per tecnologie 4G e, in prospettiva, 5G.

Nello svolgimento delle proprie valutazioni, l’Agcom ha sottolineato la necessaria coerenza con il principio di non discriminazione, dal momento che le proroghe in questione consentono di riallineare la durata dei diritti d’uso alla scadenza degli ulteriori diritti d’uso assegnati nelle medesime bande 900 e 2100 MHz.

La Delibera 338/20/CONS, inoltre, ha definito i criteri per la definizione dei contributi d’uso delle frequenze, anche in questo caso secondo modalità analoghe alla determinazione dei contributi d’uso già fissati per le altre frequenze assegnate nelle medesime bande (“i contributi debbano essere identici, a parità di ampiezza di banda e durata di proroga, a quelli fissati per gli altri titolari di diritti d’uso nella stessa banda”).

Le determinazioni di cui alla Delibera 338/20/CONS sono sostanzialmente in linea con il parere AS1669 del 27 maggio 2020 rilasciato dall’AGCM che, sebbene abbia evidenziato le potenziali criticità di un uso eccessivo dell’istituto della proroga, ha riconosciuto che, in relazione alle frequenze per le quali alcuni operatori avevano già beneficiato della proroga fino al 2029, “occorre adottare ogni opportuna iniziativa affinché non si producano effetti discriminatori, in danno di taluni operatori, in grado di alterare le dinamiche competitive dei mercati interessati”, anche con riferimento ai criteri di definizione dei contributi d’uso.


Download the document