Programmi di compliance, clausole di non concorrenza, gun jumping, pratiche commerciali scorrette, blogger, influencer e pubblicità


1. PROGRAMMI DI COMPLIANCE ANTITRUST: Le linee guida dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in materia di compliance antitrust
2. ANTITRUST – NON CONCORRENZA: Clausole di non concorrenza: massima attenzione anche da parte di operatori di dimensioni ridotte
3. CONCENTRAZIONI – GUN JUMPING: La Corte di Giustizia chiarisce i limiti dell’obbligo di standstill
4. PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE – TELEFONIA: Operatori telefonici: prospettare ai clienti morosi l’iscrizione nella banca dati S.I.Mo.I.Tel. al di fuori dei presupposti stabiliti dal Garante per la protezione dei dati personali costituisce una pratica commerciale aggressiva
5. PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE – SOVRAPPREZZO DA METODO DI PAGAMENTO: Professionisti e mezzi di pagamento: l’art. 62 del Codice del Consumo impone ai professionisti il divieto assoluto di applicare ai consumatori un sovraprezzo in funzione del mezzo di pagamento utilizzato
6. IAP – BLOGGER, INFLUENCER E PUBBLICITÀ: Pubblicità tramite social network: l’Istituto per l’Autodisciplina Pubblicitaria si pronuncia in materia di obblighi di trasparenza

1. PROGRAMMI DI COMPLIANCE ANTITRUST:

Le linee guida dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in materia di compliance antitrust 

Con provvedimento pubblicato il 4 ottobre 2018, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) ha adottato le Linee Guida sulla Compliance Antitrust (“Linee Guida”). Le Linee Guida forniscono importanti indicazioni sui requisiti che un programma di compliance antitrust deve possedere affinché possa consentire alle imprese di beneficiare della riduzione di un’eventuale sanzione che può arrivare fino al 15% dell’importo base dell’ammenda.

REQUISITI DEL PROGRAMMA DI COMPLIANCE

  • Il primo step nella costruzione del programma di compliance è il risk mapping. Le Linee Guida menzionano una “approfondita analisi dei rischi” che dovrà essere condotta tenendo conto degli specifici rischi cui è sottoposta l’impresa. 

Questo requisito implica che l’esercizio di risk mapping non possa essere del tipo ‘one fits for all’, ma, che in ciascun caso, occorrerà sforzarsi di svolgere un’analisi tailor made che consideri una pluralità di fattori quali: i) la dimensione d’impresa e la sua posizione nel mercato; ii) la natura dell’attività svolta e dei beni/servizi offerti; iii) il contesto competitivo; iv) la struttura organizzativa interna e i processi decisionali; v) il contesto regolamentare/normativo.

  • L’impresa dovrà destinare risorse sufficienti all’attuazione del programma.
  • Dovrà essere prevista la figura del responsabile del programma di compliance, il quale dovrà poter operare in autonomia e indipendenza, potendo al contempo contare sull’utilizzo di risorse e strumenti adeguati. 

Sarà interessante osservare se l’AGCM arriverà a pronunciarsi, da un lato, sulla congruità degli stanziamenti per l’implementazione del programma di compliance (ad esempio paragonandoli agli stanziamenti effettuati per altri programmi di compliance adottati dalla società) e, dall’altro, sull’effettiva autonomia e indipendenza del responsabile del programma in considerazione del suo posizionamento funzionale/gerarchico.

  • Sarà possibile collegare il programma di compliance antitrust ai sistemi di controllo e gestione di altri e diversi rischi cui l’impresa già dispone.

A tale proposito, occorrerà verificare in concreto se e come sia possibile tale collegamento. In alcune circostanze, ad esempio, sarà senz’altro possibile collegare il programma di compliance antitrust al cd. Modello 231, mentre in altri casi tale collegamento non sarà possibile o, comunque, potrebbe risultare difficoltoso tenendo conto del (diverso) tipo di rischio che le procedure tipiche di un Modello 231 sono volte a mitigare. Ancor meno evidente poi è il collegamento a sistemi di controllo di altri tipi di rischi, come, ad esempio, il rischio privacy.

  • Il programma di compliance deve essere esplicitamente sostenuto dai vertici aziendali, anche attraverso il loro coinvolgimento concreto nell’attuazione e nel monitoraggio del programma.
  • La formazione costituisce sicuramente una componente centrale del programma di compliance. Le Linee Guida chiariscono che non si potrà trattare di un’attività isolata, ma sarà necessario un aggiornamento periodico del personale. 

La formazione è un’ulteriore area nella quale il programma di compliancedovrà riflettere le specificità della singola impresa, atteso che le Linee Guida chiariscono che i corsi di formazione e i manuali dovranno essere “ad hoc, rispondenti alle esigenze specifiche della singola impresa”.

  • Aspetto centrale per garantire l’efficacia del programma di compliance sono i meccanismi di gestione dei processi, che dovranno essere proporzionati alla complessità dell’organizzazione aziendale e all’articolazione dei livelli di management
    • L’impresa dovrà dotarsi di modelli di reporting interno che consentano al personale di segnalare rapidamente problematiche antitrust, ottenere chiarimenti su specifiche questioni, fino a consentire la denuncia, anche in forma anonima, di possibili violazioni.
    • Le Linee Guida forniscono anche esempi concreti di tali meccanismi di gestione dei processi: occorrerà, tra l’altro, che vi siano misure idonee alla protezione dei rischi legati alla partecipazione alle attività di associazioni di categoria. Inoltre, in caso di imprese che partecipano a gare pubbliche, vi dovranno essere meccanismi adeguati a proteggere l’impresa efficacemente dal rischio di contatti e discussioni con imprese sue potenziali concorrenti in sede di gara.
    • L’adozione di un sistema di whistle-blowing viceversa non è requisito indispensabile per garantire l’efficacia del programma di compliance.

L’adozione di efficaci meccanismi di gestione dei processi rappresenta la reale novità dei programmi di compliance ed è probabilmente su questo piano che si concentrerà l’attenzione dell’AGCM in fase di riconoscimento dell’attenuante alla sanzione. L’impresa dovrà dimostrare di avere adottato meccanismi realmente efficaci, pena il mancato riconoscimento dello sconto.

  • Il programma di compliance dovrà prevedere misure disciplinari nel caso di violazioni delle norme antitrust da parte dei dipendenti e incentivi al rispetto delle procedure e dei processi di gestione del rischio antitrust. Gli incentivi saranno di due tipi: da un lato, dovranno rientrare negli obiettivi assegnati ai dipendenti, dall’altro, dovranno essere obiettivi specifici per il responsabile del programma.
  • Il programma di compliance dovrà essere oggetto di periodico monitoraggio ed eventuale miglioramento delle sue componenti. 

Da un punto di vista pratico, dovranno essere previste attività periodiche di due diligence interna, nonché specifici approfondimenti in particolari aree di attività ovvero consulenze legali di soggetti terzi al fine di identificare sollecitamente eventuali comportamenti suscettibili di violare la normativa antitrust e modificare opportunamente il programma.

RICONOSCIMENTO DELL’ATTENUANTE

  • Per potere beneficiare del trattamento favorevole in caso di coinvolgimento in un’istruttoria, le imprese dovranno presentare specifica richiesta motivata. La dimostrazione dell’efficacia del programma dipenderà dalle evidenze che l’impresa presenterà, vale a dire: 
    • i documenti attestanti le nomine dei responsabili del programma e del personale incaricato di operare ai fini dell’implementazione del programma, con adeguati poteri di controllo e di reporting agli organi di governo dell’impresa;
    • la documentazione elaborata per lo svolgimento di programmi di formazione e aggiornamento periodico del personale;
    • documentazione attestante i meccanismi di gestione dei processi, vale a dire e-mail o altra documentazione interna all’impresa che testimonino un’attività continua e regolare finalizzata alla prevenzione degli illeciti, ad esempio, mediante interlocuzioni di chiarimento sul significato del programma, richiami specifici al rispetto del programma da parte dei vertici dell’impresa, verifiche sullo stato di attuazione del programma e misure premiali/correttive.

Questo aspetto sarà cruciale ai fini del riconoscimento dell’attenuante. Occorrerà quindi che le imprese predispongano adeguati sistemi di reporting dei vari step dell’implementazione del programma di compliance, il che richiederà evidentemente lo stanziamento di idonee risorse per la gestione del programma.

  • Le Linee Guida chiariscono che una riduzione della sanzione fino al 15% è riservata alle imprese che abbiano adottato un programma efficace, il quale abbia consentito all’impresa la tempestiva scoperta e interruzione dell’illecito prima della notifica dell’avvio del procedimento istruttorio. Viceversa, i programmi preesistenti che, pur non essendo manifestamente inadeguati, non hanno consentito la scoperta e interruzione dell’illecito possono beneficiare di una riduzione della sanzione fino al 10%, a condizione che l’impresa integri adeguatamente il programma entro sei mesi dall’avvio dell’istruttoria. I programmi di compliance efficaci adottati e implementati nei primi sei mesi dopo l’avvio dell’istruttoria potranno invece generalmente far beneficiare l’impresa di una riduzione della sanzione fino al 5%.
  • L’AGCM fornisce altresì alcune indicazioni circa l’inadeguatezza del programma di compliance. Un programma potrà ritenersi inadeguato, ad esempio, in caso di coinvolgimento del top management nell’infrazione, ovvero qualora l’impresa sia stata coinvolta in un illecito di durata. I programmi inadeguati ma preesistenti all’avvio dell’istruttoria possono comunque beneficiare di una riduzione della sanzione fino al 5% nel caso in cui l’impresa implementi modifiche sostanziali al programma di compliance dopo l’avvio del procedimento istruttorio, purché entro sei mesi da questo.
  • Infine, l’AGCM chiarisce che laddove sia coinvolta in un’istruttoria non solo la società operativa, ma anche la sua controllante1, entrambe le società dovranno avere un programma di compliance; d’altro canto, si precisa nelle Linee Guida, l’adozione di un programma di compliance da parte della controllante non è sufficiente ad escludere la responsabilità della società madre per la condotta anticompetitiva della controllata.

2. ANTITRUST – NON CONCORRENZA:

Clausole di non concorrenza: massima attenzione anche da parte di operatori di dimensioni ridotte

Con provvedimenti del 27 giugno 2018, l’AGCM ha concluso due istruttorie avviate nel gennaio 2017 relativamente a pratiche restrittive della concorrenza nei mercati della fornitura di servizi di raccolta e smistamento della domanda del servizio taxi nei Comuni di Roma e Milano (procedimenti I801A e I801B). Le istruttorie hanno riguardato, quanto al Comune di Roma, Radiotaxi 3570, Pronto Taxi 6645 e Samarcanda, nel 2017 rappresentativi complessivamente di circa il 60-75% del totale dei tassisti; mentre, quanto al Comune di Milano, Taxiblu Consorzio Radiotaxi Satellitare 4040, Yellow Tax 6969 e Autoradiotassì 8585, rappresentativi di circa l’85-100% del totale dei tassisti.

Entrambe le istruttorie sono state avviate a seguito di una segnalazione presentata all’AGCM da mytaxi Italia S.r.l. (gruppo Daimler), la quale lamentava l’impossibilità di espandersi e competere efficacemente sul mercato a causa della presenza, negli statuti e/o nei regolamenti interni delle principali stazioni radiotaxi di Roma e Milano, di clausole di non concorrenza che impedivano ai tassisti affiliati a tali radiotaxi di utilizzare contemporaneamente altri sistemi di intermediazione della domanda, quale ad esempio l’app mytaxi, pena l’irrogazione di misure disciplinari.

Negando qualsiasi effetto restrittivo delle summenzionate clausole, le imprese investigate hanno argomentato, in primo luogo, che le clausole di non concorrenza erano assolutamente legittime, in quanto in linea con la finalità mutualistica della cooperativa (art. 2527 c.c.2), e in secondo luogo, che le stesse erano giustificate dall’esigenza di garantire il funzionamento dei radiotaxi e l’economicità della fornitura di servizi a favore dei propri iscritti.

Tuttavia, l’AGCM ha ritenuto che tali clausole di non concorrenza, nella misura in cui vincolano ciascun tassista a destinare tutta la propria capacità operativa, in termini di corse per turno, ad un singolo radiotaxi, costituiscono reti di intese verticali restrittive della concorrenza, in violazione dell’articolo 101 del TFUE. Ad avviso dell’AGCM, infatti, tali clausole sono idonee a determinare un consistente e duraturo effetto di foreclosure del mercato, ostacolando l’accesso a nuovi operatori e, più in generale, la concorrenza tra piattaforme chiuse (come i radiotaxi) e aperte (come mytaxi). L’effetto escludente è ancor più censurabile se si considera che tali clausole impediscono lo sviluppo sul mercato di app innovative, quale quella di mytaxi, che, pur avendo dimostrato di riscontrare un forte apprezzamento da parte dei consumatori, non riescono a soddisfare in maniera adeguata le richieste di corse ricevute. Infine, anche le giustificazioni addotte dalle parti a fondamento delle clausole di non concorrenza sono state rigettate dall’AGCM in quanto infondate sia da un punto di vista giuridico, che economico.

I provvedimenti dell’AGCM appaiono interessanti, in quanto confermano che, in presenza di determinate condizioni, l’applicazione di obblighi di esclusiva/non concorrenza anche da parte di imprese che non detengono una rilevante quota di mercato può presentare criticità da un punto di vista antitrust. Occorrerà quindi esaminare una pluralità di elementi: l’incidenza percentuale delle esclusive sul totale del mercato, la presenza di soggetti non vincolati da esclusiva, l’effetto deterrente dei vincoli di esclusiva sui soggetti vincolati, l’esistenza di disincentivi tecnico-economici all’abbandono della rete da parte dei soggetti vincolati, l’idoneità, infine, del diritto di recesso a mitigare eventuali effetti restrittivi delle esclusive. Se alla luce di tali fattori risulta che la porzione di mercato ‘contendibile’ è insufficiente, l’obbligo di esclusiva/non concorrenza potrebbe risultare incompatibile con la normativa antitrust. Il provvedimento dell’AGCM conferma quindi che la previsione di obblighi di non concorrenza/esclusiva deve essere sempre accompagnata da una approfondita analisi antitrust dell’impatto di tali obblighi, pena la loro non opponibilità, e l’applicazione di sanzioni.

3. CONCENTRAZIONI – GUN JUMPING:

La Corte di Giustizia chiarisce i limiti dell’obbligo di standstill

Con sentenza del 31 maggio 20183, la Corte di Giustizia, a seguito di rinvio pregiudiziale da parte del tribunale per la concorrenza danese, ha avuto modo di pronunciarsi sul c.d. gun jumping, fornendo delle importanti linee guida alle imprese che si accingono a porre in essere delle operazioni di concentrazione.

A livello UE e in molte altre giurisdizioni – ma non l’Italia – le operazioni di concentrazione non possono essere completate senza aver ricevuto preliminarmente l’autorizzazione della competente autorità antitrust (c.d. obbligo di standstill). Con il termine gun jumping si identificano sia i casi in cui un’operazione di concentrazione viene completata senza essere stata notificata alla competente autorità antitrust, sia i casi in cui l’operazione, dopo esser stata correttamente notificata, viene completata dalle parti prima dell’ottenimento dell’autorizzazione antitrust. Mentre il primo caso appare di facile individuazione, il secondo presenta significative difficoltà interpretative. Non esiste infatti una precisa descrizione normativa dei casi in cui l’obbligo di standstill verrebbe violato dalle parti nell’interim period tra la notifica e l’ottenimento dell’autorizzazione. Posta l’importanza per le parti di poter effettuare, dopo la notifica dell’operazione, le necessarie attività preparatorie al closing, senza ovviamente incorrere in eventuali sanzioni per gun jumping, l’interpretazione della Corte appare particolarmente rilevante. 

I fatti all’origine del rinvio sono i seguenti. KPMG DK è una società di audit con sede in Danimarca. Fino al 2014, era legata a KPMG International tramite un accordo di cooperazione. Nel novembre del 2013, Ernst & Young concludeva un accordo per l’acquisizione del controllo di KPMG DK e notificava l’operazione all’autorità della concorrenza danese. Il giorno stesso, la società target recedeva dal citato contratto di cooperazione.

La questione sollevata dall’autorità danese riguardava proprio il recesso, che era prodromico alla futura acquisizione da parte di EY. Alla luce di ciò, l’autorità danese riteneva il recesso parte integrante dell’operazione stessa. L’aver proceduto prima dell’ottenimento della clearance avrebbe costituito una violazione dell’obbligo di standstill.

Il giudice comunitario ha risolto il quesito partendo dal significato stesso di concentrazione. Ai sensi dell’articolo 3 del Regolamento, il concetto di concentrazione è strettamente connesso al concetto di controllo. Come sottolineato dalla Corte, sebbene il recesso fosse sicuramente prodromico all’acquisizione del controllo, esso non costituiva il mezzo tramite il quale il buyer acquisiva il controllo della società target e, pertanto, non rappresentava una violazione dell’obbligo di standstill.

Ad avviso della Corte, solamente il perfezionamento prima della clearance di operazioni “con un vincolo funzionale diretto all’acquisizione di controllo4” comporta un’ipotesi di gun jumping. Operazioni ancillari e propedeutiche, che però non comportano l’effettiva acquisizione del controllo, sono viceversa legittime ai sensi della normativa UE sul controllo delle concentrazioni.

La Corte si è soffermata altresì sulla natura giuridica dell’obbligo di standstill, sottolineando come esso sia una garanzia procedurale a favore della Commissione5. Posto che il controllo delle concentrazioni ha come obiettivo la salvaguardia della concorrenza nel mercato, l’impatto della concentrazione su di esso non rileva ai fini dell’eventuale verifica della violazione dell’obbligo di standstill. Tale obbligo, infatti, serve solo a garantire all’autorità competente il tempo necessario per verificare l’impatto della concentrazione sul mercato. A ciò segue, pertanto, che l’obbligo di standstill potrebbe essere anche violato da un’operazione a cui la Commissione successivamente concede l’autorizzazione.

La pronuncia della Corte nel presente caso si palesa, quindi, come di assoluta importanza per la disciplina del controllo antitrust delle concentrazioni. Nel chiarire come l’elemento discriminante per l’esistenza di una violazione dell’obbligo di standstill sia l’aver posto in essere una attività che integra effettivamente l’acquisto del controllo della target, la Corte ha fornito una linea guida utile al fine di valutare la legittimità di tutte quelle attività che le parti normalmente necessitano di porre in essere tra signing e closing al fine di consentire la continuità operativa della target post-closing. Stante la delicatezza del punto e l’ammontare significativo delle possibili sanzioni6, appare in ogni caso opportuno che le imprese pongano la massima attenzione alle attività effettuate nella fase antecedente all’ottenimento dell’autorizzazione antitrust al fine di evitare di incorrere in ipotesi di gun jumping.

4. PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE – TELEFONIA:

Operatori telefonici: prospettare ai clienti morosi l’iscrizione nella banca dati S.I.Mo.I.Tel. al di fuori dei presupposti stabiliti dal Garante per la protezione dei dati personali costituisce una pratica commerciale aggressiva

Con pronuncia del 1° agosto 2018, l’AGCM ha comminato a Vodafone Italia S.p.A. (“Vodafone”) una sanzione di 800.000,00 Euro per aver inviato ai suoi clienti morosi solleciti di pagamento contenenti la prospettazione della loro iscrizione nella banca dati denominata Sistema Informativo sulle Morosità Intenzionali nel Settore della Telefonia (“S.I.Mo.I.Tel.”), a cui aderiscono i principali operatori di telecomunicazioni.

L’AGCM ha ritenuto tale prospettazione una pratica commerciale aggressiva ai sensi degli artt. 24 e 25, comma 1, let. b), del D.lgs. n. 206/2005 (“Codice del Consumo”) poiché idonea a esercitare un indebito condizionamento nei confronti degli utenti che non avevano saldato le fatture alla scadenza prevista, al fine di indurli a pagare il prima possibile le somme richieste da Vodafone.

Ciò non soltanto perché, all’epoca dei fatti, S.I.Mo.I.Tel. non era ancora attiva – e dunque la minaccia dell’iscrizione alla stessa era meramente suggestiva – ma anche per le concrete modalità utilizzate da Vodafone per l’avviso di potenziale iscrizione, in particolare con riguardo: (i) alla tipologia di clienti a cui l’avviso del rischio di iscrizione a S.I.Mo.I.Tel. era stato in concreto indirizzato e (ii) all’omissione contenuta in tale avviso circa le potenziali conseguenze della registrazione alla banca dati.

Quanto alla tipologia di clienti destinatari dell’avviso, secondo l’AGCM Vodafone avrebbe dovuto indirizzare la comunicazione relativa a S.I.Mo.I.Tel. esclusivamente agli utenti morosi intenzionali, per cui risultavano integrati i presupposti cumulativi stabiliti dal Garante per la protezione dei dati personali con la delibera n. 523 dell’8 ottobre 20157, i.e.:

  1. recesso dal contratto ad iniziativa di una delle parti esercitato da non meno di tre mesi;
  2. importo insoluto di non meno di 150 Euro;
  3. presenza di fatture non pagate nei primi sei mesi successivi alla stipula del contratto;
  4. assenza di altri rapporti contrattuali post-pagati, attivi e regolari nei pagamenti;
  5. assenza di formali reclami/contestazioni, istanze di conciliazione o comunque istanze di definizione di controversie dinanzi agli organi competenti inoltrate dal cliente;
  6. invio al moroso intenzionale, almeno trenta giorni solari antecedenti all’iscrizione nel S.I.Mo.I.Tel., della comunicazione di preavviso di imminente iscrizione con comunicazione scritta tracciabile e comprovante la data e le modalità utilizzate per l’invio.

Riguardo invece alla prospettazione delle conseguenze dell’iscrizione a S.I.Mo.I.Tel., Vodafone avrebbe dovuto esplicitare che i consumatori morosi iscritti nella banca dati rischiavano di trovarsi nell’impossibilità di stipulare contratti con altri operatori e, dunque, di usufruire ancora dei servizi di telefonia8.

Il provvedimento dell’AGCM chiarisce che la prospettazione dell’iscrizione in S.I.Mo.I.Tel., al di fuori dei presupposti individuati dal Garante per la protezione dei dati personali e prima che tale banca dati sia operativa, integra una violazione del Codice del Consumo. Occorrerà vedere se il medesimo approccio verrà esteso anche a settori diversi dalla telefonia, quali l’energia, i servizi bancari e finanziari o le assicurazioni, per alcuni dei quali l’AGCM ha già statuito che il recupero dei crediti deve avvenire nel rispetto dei principi del Codice del Consumo.

5. PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE – SOVRAPPREZZO DA METODO DI PAGAMENTO:

Professionisti e mezzi di pagamento: l’art. 62 del Codice del Consumo impone ai professionisti il divieto assoluto di applicare ai consumatori un sovraprezzo in funzione del mezzo di pagamento utilizzato

Con provvedimento n. 27324 del 13 settembre 2018, l’AGCM ha sanzionato, per un importo pari a 15.000,00 Euro, StarticoloRomagna S.p.A. (“StarRomagna”) – società a partecipazione pubblica attiva nel settore del trasporto pubblico nell’area romagnola9– per aver predisposto sul proprio sito internet un sistema di acquisto/rinnovo del titolo di viaggio nell’ambito del quale si richiedeva ai consumatori un supplemento di prezzo collegato all’utilizzo della carta di credito come mezzo di pagamento10.

In particolare, sul sito di StarRomagna era presente un collegamento a una piattaforma di proprietà di un’intermediaria pubblica11 convenzionata con i PSP12, ove l’utente confermava il consenso per procedere all’acquisto. Vale rilevare che la convenzione tra StarRomagna e la società intermediaria prevedeva espressamente che le commissioni relative al pagamento tramite carta di credito sarebbero state incassate unicamente dal PSP interessato13.

Secondo l’AGCM, il meccanismo sin qui descritto integrava una violazione da parte di StarRomagna dell’art. 62 del D.lgs. n. 206/2005 (“Codice del Consumo”), per cui “Ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 1114, i professionisti non possono imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento, spese per l’uso di detti strumenti”.

A nulla sarebbe valso l’argomento fatto valere da StarRomagna nelle sue difese, per cui la stessa non percepiva il sovraprezzo addebitato ai consumatori in relazione all’utilizzo della carta di credito, che veniva invece incassato unicamente dai PSP.

Secondo l’AGCM, infatti, l’art. 62 del Codice del Consumo pone un divieto assoluto di qualunque sovrapprezzo collegato allo strumento di pagamento utilizzato, non rilevando, a riguardo, alcun distinguo in relazione né a natura ed entità della fee, né allo specifico mezzo di pagamento prescelto dal consumatore. Il professionista deve pertanto ritenersi responsabile della violazione per il solo fatto che il sovrapprezzo indicato sul suo sito internet venga applicato al consumatore nell’acquisto che ivi si conclude.

Il provvedimento appare particolarmente interessante, in quanto attribuisce ai professionisti una sorta di responsabilità oggettiva per il sovraprezzo imputato ai consumatori a seconda del mezzo di pagamento prescelto indicato sul loro sito internet (ma si ritiene che non sarebbe diverso per altri canali di comunicazione), a prescindere dalla circostanza che tale sovrapprezzo venga effettivamente percepito dai professionisti.

6. IAP – BLOGGER, INFLUENCER E PUBBLICITÀ:

Pubblicità tramite social network: l’Istituto per l’Autodisciplina Pubblicitaria si pronuncia in materia di obblighi di trasparenza

Con pronuncia n. 58 del 25 luglio 2018, l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (“IAP”) ha esaminato la compatibilità con l’art. 715 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria (“Codice”) di pratiche comunicative intervenute sui profili personali di blogger sui social network, con particolare riferimento al noto tema dell’identificabilità della componente commerciale di tali comunicazioni.

Il caso riguardava la pubblicazione, da parte della blogger Gresy Daniilidis, di due post sul proprio account Instagram relativamente a prodotti cosmetici Guerlain. La questione oggetto di analisi da parte dello IAP ha riguardato la compatibilità di tali post/foto, contenenti un richiamo al marchio e al profilo Guerlain (“@Guerlain, #guerlain, #guerlainmakeup), con lo standard dell’art. 7 del Codice il quale, applicato al caso di specie, si traduce nella necessaria presenza di sufficienti elementi idonei a rendere inequivocabile l’esistenza di un accordo commerciale tra il brand e la blogger.

Nel corso del procedimento, LVMH (distributore esclusivo in Italia del marchio Guerlain) ha argomentato l’assoluta compatibilità dei messaggi in oggetto con l’art. 7 del Codice sostenendo che, in un caso, il post era stato effettivamente commissionato dal brand e, invero, riportava chiaramente l’indicazione #ad; mentre, nell’altro caso, si trattava di un post pubblicato dalla blogger in modo assolutamente spontaneo, come evidenziato dal fatto che le immagini in questione comprendevano numerosi prodotti (oltre a quelli a marchio Guerlain) e che, tra i prodotti Guerlain, erano fotografati anche prodotti non più in commercio.

Il Giurì, nel rigettare le argomentazioni di LVMH, ha sostenuto che i messaggi oggetto di contestazione erano frutto di un rapporto di committenza tra la società e la blogger e non esplicitavano in maniera sufficiente tale natura, mancando le necessarie indicazioni16. Tornando sul punto delle comunicazioni via social network (si veda anche la Pronuncia n. 45/2018), il Giurì ha ribadito come i mezzi di comunicazione online, per loro natura, possono facilitare la confusione tra pubblicità, informazione e comunicazione non commerciale.

La pronuncia del Giurì è interessante in quanto si sofferma nuovamente sul delicato tema della comunicazione commerciale tramite social network, in particolare, attraverso i profili personali di blogger e influencer. Su tale aspetto, come noto, anche l’AGCM ha svolto un’intensa attività di moral suasion improntata a garantire che le comunicazioni via social network assicurino la massima trasparenza e chiarezza circa la natura commerciale dei post17.

1 Nella prassi, il coinvolgimento nell’istruttoria della società madre, è, inter alia, strumentale all’inclusione del fatturato consolidato nel computo del fatturato rilevante ai fini della sanzione.

2 Ad eccezione del radiotaxi 6969 a Milano, tutte le altre parti sono costituite in forma di società cooperativa.

3 Sentenza del 31 maggio 2018, Ernst & Young, C-633/16, EU:C:2018:371.

4 Ernst & Young, para 49.

5 Ibid., para 50.

6 Ai sensi dell’art. 14, comma 2, del Regolamento UE n. 139/2004 relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese, la Commissione europea può irrogare una sanzione fino al 10% del fatturato totale realizzato dall’impresa interessata in caso di mancata notifica di un’operazione di concentrazione ovvero in caso di violazione dell’obbligo di standstill. Nell’aprile 2018, la Commissione europea ha comminato ad Altice N.V. una sanzione pari a Euro 124,5 milioni per non aver notificato un’operazione di concentrazione e per averla implementata prima dell’ottenimento dell’autorizzazione (caso M.7993 – Altice/PT Portugal). A livello di giurisdizioni nazionali, nel novembre 2016, l’Autorità di concorrenza francese ha irrogato ad Altice Luxembourg e SFR Group una sanzione pari a Euro 80 milioni per aver implementato prima dell’autorizzazione due operazioni di concentrazione.

7 Pubblicata sulla GU n. 257 del 4 novembre 2015.

8 Dalle risultanze istruttorie, era emerso che gli operatori stavano discutendo in sede Asstel sulla possibilità di vietare a una società telefonica di attivare il servizio al cliente moroso intenzionale per il quale sia previsto “esito semaforo rosso”, ossia per cui risultino, tramite la banca dati, segnalazioni di morosità da parte di almeno due operatori.

9 I soci sono alcuni Comuni dell’area romagnola.

10 L’infrazione è durata da giugno 2014 (anno di entrata in vigore dell’art. 62 del Codice del Consumo) fino al 2 ottobre 2017, data a partire dalla quale StarRomagna aderisce alla diversa piattaforma PagoPa.

11 La piattaforma, posseduta da una società in-house della Regione Emila-Romagna, aveva lo scopo di mettere in comunicazione le società di trasporto pubblico della Regione con i PSP convenzionati.

12 L’acronimo sta per Prestatori di Servizi di Pagamento.

13 Dopo aver confermato di voler procedere all’acquisto, l’utente veniva indirizzato sul sito del PSP, ove avveniva il pagamento. Effettuato il pagamento, l’utente veniva infine reindirizzato sul sito web di StarRomagna.

14 Fino al 13 gennaio 2108, il testo dell’art. 3, comma 4, del D.lgs. n. 11/2010 recitava: “Il beneficiario [il professionista] non può applicare spese al pagatore per l’utilizzo di un determinato strumento di pagamento”. A seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. 218/2017, la norma appare ora così riformulata: “Il beneficiario non può applicare a carico del pagatore spese relative all’utilizzo di strumenti di pagamento”. Le due formulazioni sono state interpretate dall’AGCM senza soluzione di continuità, ambedue volte a porre a beneficio dei consumatori il divieto assoluto di payment card surcharge.

15 L’art. 7 del Codice rubricato “Identificazione della comunicazione commerciale” così recita: “[l]a comunicazione commerciale deve essere sempre riconoscibile come tale. Nei mezzi e nelle forme di comunicazione commerciale in cui vengono diffusi contenuti e informazioni di altro genere, la comunicazione commerciale deve essere nettamente distinta per mezzo di idonei accorgimenti.”

16 L’indicazione #ad presente nel primo post era stata aggiunta successivamente alla pubblicazione e quindi non poteva essere considerata sufficiente ai fini della identificazione della natura commerciale del post.

17 Si vedano, in proposito, i comunicati stampa dell’AGCM del 1° dicembre 2017 (Link) e 6 agosto 2018 (Link). Si veda sul tema anche l’intervento della Federal Trade Commission (Link).


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